Emissioni CO2: scambio, cattura e stoccaggio

Scopo di questo spazio è contribuire all’armamentario culturale che andrà a comporre la tua visione delle cose.
Senza adottare opinioni a priori, ma netto nella posizione.

Lo “scambio” di quote di emissioni ad effetto serra è un meccanismo mirato a disincentivare le attività inquinanti della grande impresa. “EU-ETS” è il nome del sistema europeo di scambio, che si basa sul principio del “cap & trade”. 

Accade che ad ogni operatore del campo industriale (o aereo) vengano assegnate, dallo Stato o una organizzazione sovranazionale, quote di permessi a inquinare. Dopodiché viene fissato un “cap”, cioè un tetto di emissioni in termini di tonnellate di CO2 equivalente e con cui quella grossa impresa deve confrontarsi. Ogni anno, il 30 aprile, va restituito un numero di quote pari alle emissioni prodotte l’anno precedente. Averne in eccesso dovrebbe indicare che quella impresa ha migliorato la propria efficienza energetica, per questo ha quote aggiuntive di cui disporre. 

Al contrario per quelle che sono in difetto di queste quote, si va a pagare una sanzione. Prima di essere sanzionata può comunque trovare tali certificati: 

  • acquistandoli da altre imprese;
  • comprandoli da intermediari finanziari; 
  • acquisendoli tramite contrattazioni ovvero aste, in una apposita borsa valori.

Nell’intento di chi ha disegnato il sistema cap & trade, fissare un prezzo da pagare, significa portare ad internalizzare gli effetti che gli attori industriali producono sul loro ambiente circostante, usandoli come incentivo finanziario a de-carbonizzare. In passato infatti, le esternalità negative ed derivanti costi degli impianti industriali veniva suddiviso tra collettività. Il sistema cap & trade è anche noto dei criteri non proprio stringenti con cui questi permessi vengono assegnati, ragion per cui le grandi imprese hanno accumulato a partire dal 2008, una certa quantità di eccedenze di certificati. Il che significa la caduta dei prezzi degli stessi e paradossalmente un affievolimento di questa leva sulle imprese. 

Il meccanismo è ben lungi dalla perfezione (nel 2017 una riforma UE ha eliminato tale eccedenze), tuttavia viene considerato come uno degli elementi della politica climatica di cui possono disporre gli stati. Altri effetti collaterali del meccanismo EU-ETS sono il cosiddetto “rischio di commerciare aria calda”. Ad esempio quando vengono realizzati progetti con turbine eoliche per cui però, si dichiara inizialmente di aver voluto preferire a un combustibile fossile.

Oppure casi in cui si ottengono certificati per la chiusura di impianti inquinanti che sarebbero comunque dovuti essere dismessi. E ancora, che vengano assegnate quote ad inquinare a paesi che, per una riduzione comunque programmata e prevista della propria capacità produttiva ricevono in modo invariato le loro quote. Anche il trasporto aereo è nel novero di queste grandi imprese, tuttavia il meccanismo riguarda solo i voli che hanno un punto di partenza e una destinazione nello Spazio economico europeo, salvo poche altre eccezioni. 

Proprio per questo numerose criticità, il meccanismo cap & trade sui certificati, viene considerato come solo uno tra gli ambiti su cui serve agire per la protezione del clima. Il meccanismo infatti risulta, da solo, inefficace nel trovare soluzioni al lungo termine economicamente vantaggiose ed in certi casi porta a vere e proprie inefficienze. Come sempre ti ricordo che puoi trovare le fonti in descrizione. In basso puoi trovare anche le altre puntate che spaziano dal rapporto tra nucleare e transizione energetica, alla sicurezza sino alle smart grid. 

Quindi, come osservato, dall’energia sprigionata dalla combustione di carbone o altri gas si produce anidride carbonica. Tuttavia, non è inevitabile che questa venga scaricata proprio in atmosfera, così. Posto che sebbene questa non sia tossica in concentrazioni basse, contribuisce appunto all’effetto serra. Interessante è, vedere come una volta separata la CO2 dai gas di scarico in cui è contenuta, questa possa essere imprigionata e stoccata. Questa tecnologia è nota come CSS, e cioè “carbon capture and storage”. Una tecnologia CSS necessita che i suoi siti di smaltimento siano disponibili con sufficiente volume ed affidabilità operativa a lungo termine, e che la CO2 sia separabile da altri composti in modo relativamente poco costoso. Ci basti sapere che la CO2 può essere ricavata da numerose soluzioni come la cattura post-combustione degli scarichi di fornaci a carbone, o con il processo di separazione dall’aria, e ancora la gassificazione del carbone, o l’ottenimento di CO2 dal gas naturale grezzo.  

La CO2 cosi ottenuta può essere trasportata altrove oppure stoccata. Nel primo caso è possibile tramite condutture rafforzate oppure in forma liquida, su mezzi come navi o camion. Questa CO2 può poi essere stoccata in modo permanente in strutture geologiche terrestri o marine, oppure utilizzata per altri processi produttivi. ENI per esempio, sviluppa progetti di cattura della CO2 prodotta dal motore di un autoveicolo immagazzinandola sullo stesso per poterla scaricare durante il rifornimento di carburante. Da quel momento il poi la CO2 opportunamente catturata diventa una risorsa, per esempio viene fatta reagire con residui dell’industria mineraria e di inertizzazione rendendola utilizzabile nel settore delle costruzioni. Può essere inoltre, utilizzata come reagente nello sviluppo di altri materiali dell’industria chimica o ancora convertirla a metanolo. Sempre nel campo di applicazione della tecnologia CSS (Carbon Capture and Storage), secondo le attuali conoscenze, il potenziale più ampio è offerto dalle falde acquifere saline. 

Va anche detto che questo procedimento può modificare la pressione del sottosuolo andando ad influenzare la posizione delle acque sotterranee e provocare modifica del sottosuolo e delle superfici. Particolarmente interessante è lo stoccaggio in giacimenti di petrolio e gas tramite iniezioni. Queste iniezioni possono favorire la conservazione in sicurezza, e con anche qualche aumento di resa di produzione delle estrazioni di idrocarburi; tuttavia trovandosi tutta questa CO2 nel sottosuolo, sono anche noti i possibili rischi potenziali dovuti a fuoriuscite, combinazione con terremoti o rischio inquinamento delle acque del sottosuolo. È chiaro che in questi casi comunque oltre ad un altro livello di monitoraggio dei depositi, è necessaria una zona geologicamente conosciuta e studiata. 

Riassumendo, negli anni, tra i metodi per limitare la presenza di gas serra nell’atmosfera si sono presente diverse misure. Abbiamo tra queste di certo la riduzione del consumo di energia come tramite la coibentazione degli ambienti e l’efficientamento energetico. Abbiamo la transizione verso fonti con minor contenuto di CO2, l’aumento della produzione di energie da fonti rinnovabili, e ancora, il favorire l’assorbimento da parte degli ecosistemi e come visto anche lo stoccaggio geologico. Un esempio di stoccaggio di anidride carbonica proveniente da impianti industriali è in Norvegia. Situato nel mare del nord, il sito di Sleipner, vede stoccati ad un chilometro di profondità, 16 milioni di anidride carbonica. Tra processi di tipo CCS (Carbon Capture and Storage) e CCU (Carbon Capture and Utilization), oltre al già citato progetto nel mare norvegese, l’ENI partecipa attivamente cosi come già in siti attivi in Emirati Arabi Uniti, Libia e in prospettiva Egitto e Australia. A Ravenna, sfruttando queste tecnologie, è previsto un progetto per lo stoccaggio di anidride carbonica sino a 100mila tonnellate di CO2 ma ha una capacità stimata fino a 500 milioni.  Lo scopo dichiarato è quello di usare questo come parte di una filiera nazionale nel settore della decarbonizzazione  ad alto contenuto tecnologico e occupazionale.

Ultimo focus lo dedichiamo ad un progetto condotto in Gran Bretagna il quale “prevede la trasformazione di uno dei distretti industriali più energivori del Regno Unito, nell’area della Liverpool Bay sulla costa nord-occidentale, nel primo cluster industriale a basse emissioni di anidride carbonica al mondo”. HyNet NorthWest è un progetto su tecnologia Carbon Capture and Storage, che consente lo stoccaggio geologico della CO2 usando i giacimenti di idrocarburi depletati, nello specifico alcuni campi offshore, per contenere parte delle emissioni dell’aree industriali del nord ovest. Una capacità iniziale di 4,5 milioni di tonnellate l’anno, con la possibilità di espansione a 10 milioni di tonnellate all’anno entro il 2030.

In una seconda fase, il progetto HyNet NorthWest vuole intervenire per ricavarne idrogeno “per alimentare le industrie, il riscaldamento domestico, la produzione elettrica e i trasporti”. Al netto di inefficienze e ambiguità, ampie sono io vedo le potenzialità industriali del campo anidride carbonica.

Fonti: EU ETS: https://bit.ly/3yN8gtK | Funzionamento EU ETS: https://bit.ly/3zayM1z | Europäisches Verbundsystem: https://bit.ly/3cll4Qr | Recepimento meccanismo scambio quote: https://bit.ly/3PhuXgK | Sistema EU ETS: https://bit.ly/3yIagTT | Der Europäische Emissionshandel: https://bit.ly/3uRZ8ma | Emissionshandel: https://bit.ly/2Hu2wvw | CSS: https://bit.ly/3cnKZHn | Stoccaggio UK: https://bit.ly/3REwJtJ | Serbatoi geologici: https://bit.ly/3uUKvih | CCU Ravenna: https://bit.ly/3BbuOHx

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